Padrone di Chiara

bondage Dopo una cena al ristorante consumata in fretta ci avviamo alla mia casa di montagna. Durante il tragitto la nostra voglia di scopare aumentava a dismisura. Ci guardavamo in silenzio… un silenzio rotto ogni tanto dai tuoi sospiri. Poggi la testa sulla mia spalla ed inizi ad accarezzarmi il cazzo da sopra i pantaloni. Faccio altrettanto ti scosto le mutandine e ti accarezzo la fica già calda e vogliosa. Non resisti me lo tiri fuori ed inizi ad accarezzarlo dolcemente finchè non lo porti in bocca ed inizi a pomparmelo con avidità!  Ti prendo da dietro la nuca e ti aiuto a spingere.. alzo ed abbasso il bacino e ti scopo la bocca. Una volta arrivati iniziamo a baciarci ed accarezzarci. Ci spogliamo a vicenda velocemente sempre con le nostre bocche attaccate come ventose. Vado in bagno e quando torno ti trovo già sdraiata sul letto nuda, la schiena contro il materasso, ti lego le mani alla testiera e ti bendo. Per te avevo scelto qualcosa di speciale, un paio di manette, le mie preferite. Se provavi a muoverti, il metallo ti graffiava la pelle e ti feriva. Ti faceva male, ma riuscivi a sopportarlo. Ti facevano male anche le mie mani, che stringevo intorno al tuo collo. Le stringevo quel tanto che bastava a metterti paura, ed ha funzionato. Ti faceva male il seno. Prima l’ho schiaffeggiato, poi ti ho pizzicato i capezzoli e mi sono fermato solo quando ti ho sentita gridare. «Perché hai gridato?» ti chiesto. «Non ti ho detto di farlo.» Ho riso e ti ho schiaffeggiata di nuovo. Ho preso una candela e ti ho bruciato la pelle con la cera calda. Ho detto che ti avrei scopato forte, così forte che mi avresti implorato di smetterla. Forte da farti male. Tanto forte da metterti a piangere. Io voglio che piangi. Voglio spaventarti, metterti brutte cose nella testa, convincerti che un giorno ti scoperò fino ad ammazzarti. Alla fine ti adatterai, imparerai a sopportare il dolore, allora morirai. E morirai d’amore, con me dentro di te. Tu mi conosci, ti è bastato uno sguardo per capire chi sono e cosa voglio. Ti ho chiesto cose terribili, e ogni mio desiderio è stato esaudito. Legarti è stata una mia idea, e mentre ti stringo più forte le mani sul tuo collo, raccogli il poco fiato che hai in gola per sussurrare parole d’amore. «Sono tua» mi dici. «Completamente tua, sono la tua umile schiava, la tua cagna in calore puoi fare di me ciò che vuoi. Sono qui per servirti padrone mio.» Immediatamente lascio andare la presa e comincio a scoparti. Ti scopo sul serio, stavolta. Niente più giochi, niente più minacce, solo il sesso crudo e brutale. Non c’è traccia di tenerezza in me, e nemmeno tu la vuoi adesso. In questi attimi brami solo il dolore e la mia crudeltà. Sai che ti accontenterò e mi ami per questo. Mi ami di un amore oscuro che agli altri non è concesso di capire. Il nostro è l’amore che fa male, un amore fatto di manette, bende e fruste, di una corda che si tende, di labbra che si schiudono per dare un bacio oppure singhiozzare. Ed è così bello che non trovi le parole per descriverlo. «Fottimi, chiavami, inculami mio padrone severo» dici soltanto. Allora io ti regalo un piacere che ti brucia le viscere, con spinte sempre più forti e profonde. Ti apro le gambe e ti fotto fino a farti male, proprio come ti avevo promesso. Ti tiro i capelli, ti mordi il seno, ti chiamo con nomi orribili, e mentre lo faccio, mentre ti scopo così, senti che non riesci più a trattenerti, e vieni con un grido, quasi di esultanza, che rimbalza sulle pareti. Vieni, ma io continuo a scoparti finché il piacere non si trasforma in dolore e vieni ancora ed ancora. Ma tu lo accetti perché lo vuoi. Tu lo accetti perché anche io lo voglio. Inizi a lamentarti mi dici basta perché sai che quando fai così mi piace. Mi eccita. «Non ce la faccio… Non posso…» m’implori. «Sì che puoi lurida cagna» insisto. E per dimostrarti che ho ragione prendo nuovamente la candela. Gocce di cera calda ti cadono sul ventre mentre inizi ad ansimare. Vorrei abbandonarmi all’orgasmo, invece mi trattengo. Ti allontano da me e ti guardo in un modo che conosci bene. Sai cosa ho in mente e stavolta hai paura per davvero. Tiri le braccia, cerchi di liberarti dalle manette, ma è tutto inutile. Forse una parte di te non vuole realmente scappare. La promessa di dolore che mi leggi negli occhi ti eccita, non puoi farci niente. Siamo così, sei uguale a me: due fiori nati della stessa pianta. Ho una frusta, ti spaventi. Non è una frusta vera, è troppo piccola, somiglia più a un frustino. «Ti piacerà mia docile schiava» ti dico. Poi colpisco. La frusta è composta da tante stringhe sottili che bruciano come il fuoco ma non lasciano segni. Fa male, non puoi fare a meno di gridare. Mi supplichi, m’implori di fermarmi ma io t’ ignoro, faccio finta di non aver sentito, e questo ti porta ad amarmi sempre di più. Continuo a frustarti sulla fica, sulle tette e sul culo con colpi brevi ma decisi e ritmati. Ti colpisco perché so che lo vuoi, perché è quello che hai sempre cercato, l’amore che aspettavi da tutta la vita! quando all’improvviso hai trovato me. Io so che mi ascolti perché comprendi ogni mio desiderio, e fai ciò che ti chiedo. E ho ragione, sai? Ti piace, e vorresti che continuassi all’infinito. Ma io sono pago, per ora, di questo gioco e poso la frusta. Ti vengo sopra e ti scivolo tra le gambe lentamente, per poi scoparti in modo irruente, selvaggio quasi animalesco. Ti graffio, ti mordo… Il tuo respiro diventa pesante, riprendi ad ansimare, e finalmente ti riempio con la mia sborra…..uno schizzo lungo e caldo. Resto immobile per un minuto o due, poi sollevi leggermente la testa  e te lo ficco in bocca! finisci di ingoiare la mia sborra gocciolante…. per poi tirarlo fuori ed inondarti con un getto potente di piscio che prima trattieni per un pò e poi lo ingoi con avidità. Ti dico «Ora ti tolgo le manette» e una punta d’orgoglio trapela dalle mie parole. Sono fiero di te, di noi due, di come siamo bravi a spingerci oltre i limiti. Stiamo bene, ci sentiamo vivi, la nostra fame di emozioni si è placata almeno per un po'.

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